Televisione: da anni provo un certo disagio quando impiego questo termine. Ormai lo penso sinonimo di quella che si definisce la TV commerciale, cioè TV di stato e canali distribuiti prevalentemente sotto forma di digitale terrestre. Quest’ultima è una definizione limitativa e parziale, un tentativo di differenziazione rispetto alla TV ad abbonamento modulare tipica degli USA e abbastanza popolare anche in Europa da alcuni anni. Di sicuro il termine televisione non identifica il dispositivo fisico presente nelle case, ormai a tutti gli effetti uno schermo , un visualizzatore di contenuti digitale.
Sulla base di questa empirica classificazione, osservando il mio comportamento negli ultimi anni sono arrivato alle seguenti conclusioni:
- il mio consumo di TV commerciale è nullo, praticamente vicino allo zero. Non fosse stato per il referendum della Scozia del scorso 18 settembre 2014, un’occasionale zapping che mi ha portato su Channel 5 dove trasmettevano Benefit Brits by the Sea (da brividi!) e 20 minuti di BBC 1 il 31 dicembre, non ricordo alcun altro momento nell’arco degli ultimi 16 mesi almeno. Stesso discorso per la televisione italiana negli anni precedenti. Credo che la mia astinenza volontaria dai primi 6 canali di un generico telecomando risalga al 2007 come minimo. Non un elemento di vanto o di distinzione, ma un dato di fatto.
- mediamente il stop box di Sky è operativo una decina di ore alla settimana al massimo e non sempre per visualizzare contenuti, ma spesso per registrarli e basta. Solo alcuni eventi sportivi (a gennaio i Play Offs NFL e le poche partite della Premier League trasmesse localmente) costituiscono un momento di sfruttamento di questa fonte di contenuti e di intrattenimento. In aggiunta mediamente un film (2 ore?) sempre in download attingendo alla libreria di Sky. Non succede con cadenza regolare ogni settimana: forse più realisticamente ogni 2 o anche più.
- Lo schermo di casa (quello che una volta si chiamava televisore e/o televisione) risulta acceso più spesso di quanto descritto in precedenza perché – quando si presenta l’occasione – visualizzo alcuni contenuti digitali che ho prodotto, soprattutto foto e in qualche rara occasione video.
Nonostante questo quadro quasi deprimente, consumo un’incredibile quantità di contenuti, scritti e video tralasciando la musica sempre presente e mai attraverso una radio: categoricamente mai.
Numeri alla mano – sebbene non possa presentare un’analisi quantitativa e qualitativa iper precisa – al #1 nella graduatoria dei dispositivi di consumo di contenuto si posiziona il mio iPad Air 2, incalzato dall’iPhone 6 per ovvi motivi e per una tipologia di materiale leggermente diversa (principalmente testo). Ho realizzato che i contenuti video – documentari, film e TV shows – che una volta veicolavo sullo schermo di casa, oggi sono consumati sempre e solo attraverso iPad. E ancora più sorprendente, la fonte di approvvigionamento di questi contenuti è Amazon Prime, molto di più di Sky Go, BBC iPlayer o qualsiasi altra fonte video di tipo tradizionale. Probabilmente se sottoscrivessi un abbonamento a Netflix, credo sarebbe un testa a testa con Amazon Prime per la posizione #1.
Difficile generalizzare e anche arrivare a conclusioni categoriche. Di sicuro molti ancora guardano BBC o RAI, come ITV o Canale 5. Sinceramente contento per loro e per le rispettive aziende. Ma in un mondo che si sta sempre più spostando verso la specializzazione in qualsiasi area e settore, potendo disporre di alternative e di un panorama di contenuti così ampio da riuscire a soddisfare i gusti più disparati, perché accontentarsi di una programmazione “imposta” potendo fare diversamente?
Non sono l’unico a farlo. Poche sere fa mi sono trovato su un treno in direzione sud-ovest in partenza da Waterloo Station alle 6:00pm di un giorno lavorativo. Ordinatamente pieno compresi corridoi e piattaforme di accesso, ho osservato il comportamento dei “commuter” giornalieri, essendo io un intruso e un non-professionista della categoria di chi utilizza il treno per raggiungere il posto di lavoro. Devo ammettere di aver visto 3 lettori di The Evening Standard, quotidiano gratuito distribuito ovunque nel centro di Londra. Alcuni dormivano. La maggior parte era alle prese con il consumo di contenuti. Semplicissimo individuare i professionisti della trasferta. Armati di iPad con reggi schermo per ottimizzare la visione e la comodità nel viaggio, batteria carica al 100%, una miriade di contenuti scaricati in locale.
Un trentenne si è sciroppato almeno due episodi di un TV show che io considererei illegale per la pochezza cerebrale che lo caratterizzava. Ambientato in un futuro così poco credibile da risultare sciocco, vedeva dei protagonisti alquanto strampalati combattere contro dinosauri. Immagino che il creatore della serie abbia ritenuto assolutamente vincente mixare passato e futuro, raccogliendo il consenso di un produttore che ha finanziato il “capolavoro” e almeno di quell’utente che avidamente ne consumava i frame.
Un signore vicino al pensionamento credo avesse sul suo iPad una libreria immensa di contenuti visto che in un’ora di viaggio ne ha selezionati e visti parecchi. La domanda e il dubbio che mi è sorto riguardava le fonti di approvvigionamento e se si trattasse di materiale ottenuto legalmente. Non è dato di sapere sebbene il sospetto è che a fronte di una mole simile il soggetto in questione debba aver trovato delle soluzioni particolarmente vantaggiose per potersi permettere una scelta così variegata. Sorvolando su questo punto (anche se non ci sarebbe proprio da sorvolare!), mi ha colpito l’atteggiamento sviluppato nel tempo e conseguenza diretta di una condizione clinica che definirei da “abbondanza di contenuti”. Dopo aver visionato un’epica finale di hockey su ghiaccio tra Canada e URSS vinta dai primi 6 a 5 e giocata senza elmetto (primi anni 70?), sono stati necessari almeno una dozzina di tentativi prima di trovare un altro contenuto sufficientemente interessante. In questa fase il suo indice sinistro (mancino?) ha ricoperto un ruolo da protagonista venendo utilizzato per selezionare i clip e – qui la sorpresa – per esprimere un verdetto qualitativo quasi istantaneo. Subito dopo la partenza del video, l’indice sinistro rimaneva operativo posizionandosi a pochi millimetri dal pulsante Done, quasi come se stesse per esprimere una sentenza, un verdetto definitivo sulla capacità del clip selezionato di trasferire un livello di interesse, gradimento e compagnia adeguato alla situazione. Tempo richiesto per arrivare a questa conclusione? Qualche secondo, massimo una decina.
Ho trovato questo comportamento particolarmente sintomatico di chi vive in una condizione di grande abbondanza e scelta e mi ci sono ritrovato perché faccio più o meno la stessa cosa con la musica, da diversi anni almeno. Pochi secondi e se non scatta qualcosa, passo alla canzone successiva individuata secondo criteri di selezione personale. Non sono arrivato ancora a tanto con i video, forse perché non sono su un treno ogni giorno.
Le statistiche USA indicano come il consumo lineare di contenuti (una volta avrei scritto di televisione) stia crollando e come il numero dei cord cutters (quelli che annullano l’abbonamento a canali televisivi) sia in costante aumento. Nulla di nuovo e di sorprendente. In presenza di un livello maggiore di disponibilità di banda capace di garantire una copertura pervasiva, logico prevedere un accentuarsi di un comportamento simile vista la comodità della cosa da qualsiasi punto di vista. Rimane il dubbio sulla legittimità della presenza di quei contenuti sugli iPad dei molti viaggiatori di quel treno. Mi piace pensare che fossero il risultato di azioni lecite e legali. Se così fosse, si prospettano tempi entusiasmanti per i produttori di contenuti video.