Contenuti digitali: no trespassing?

Il mese di dicembre si è aperto con uno scritto di Eric Schmidt, CEO di Google, seguito oggi da un contributo sempre sul tema dei contenuti da parte di Mr. Murdoch. E anche in Europa, Axel Springer ha fornito una propria visione dell’evoluzione dei contenuti inline.

Da sempre sono un sostenitore del modello di business basato su una subscription mensile o annuale. La ritengo una forma civile e corretta per garantirmi accesso a contenuto valid, interessanti, informativi o di intrattenimento. Dei $149 all’anno che pago da tempo per sottoscrivere al Wall Street Jounral online ne ho parlato in un precedente blog. Su Apple iTunes dove non esiste una forma di subscription nel vero senso del termine, procedo attraverso l’acquisto di gift cards che carico nel mio profilo personale, soluzione che mi permette di comprare musica e video in quantità e a piacere. Inoltre, ho acquistato applicazioni per iPhone come Cnn Money, Corriere della Sera e altre ancora seguendo e adattandomi al modello di business proposto, spesso con un buon livello di soddisfazione.

Queste sono solo alcune delle fonti informative alle quali faccio riferimento su base quotidiana, ma non le sole. New York Times, USAtoday, Consumer Report, CNN, Reuters, BusinessWeek, The Guardian, Timesonline e molte altre ancora completano l’elenco. Ipotizziamo ora che tutte queste fonti informative impongano un modello a pagamento secondo le due modalità che sembrano godere dei maggiori consensi tra gli addetti al settore: subscription e micropagamenti. Qualora tutte queste testate online offrissero contenuto con canone mensile, nonostante la stima e l’apprezzamento per tutti questi diversi punti di vista, inevitabilmente sarei orientato a limitare il numero di abbonamenti per ovvi motivi economici forzando una selezione. In definitiva, concentrerei la mia attenzione su WSJ – intoccabile – e forse uno o due altri fornitori di contenuti. In altri termini, molti di questi siti mi perderebbero come Unique User (piccolo impatto sull’inventory e quindi anche sulle revenue da adv) e non mi conquisterebbero come cliente a pagamento.

Allo stesso tempo, starei di sicuro alla larga da siti che offrono il proprio contenuto in cambio di micropagamenti. Per quanto semplice, naturale e “indolore” possa essere la modalità di pagamento prospettata, dubito fortemente di essere mentalmente predisposto a versare anche importi di pochi cents per un contenuto probabilmente recuperabile altrove, quasi certamente anche all’interno delle fonti informative alle quali abbonato (ricordatevi sempre che io pago per i contenuti già oggi). L’esempio più lampante delle ultime ore è la Stanford iPhone Orchestra. Questa notizia – di per sé non proprio vitale – l’ho trovata praticamente su tutte le fonti informative citate in precedenza senza reali valori differenzianti da giustificare un eventuale pagamento extra. Diverso è pagare $.99 per una canzone, un bene a fecondità ripetuta nel tempo, e un testo/notizia la cui utilità – sebbene in teoria maggiore – è alquanto opinabile seguendo un puro criterio edonistico. Se poi è compresa nel bouquet di notizie offerte dai provider selezionati, non c’è proprio motivo per un acquisto “spontaneo”.

In definitiva, quindi, lo scenario futuro che sembra delinearsi, pur trovando nel sottoscritto un potenziale cliente, mi spingerebbe a limitare lo spettro delle fonti informative alle quali attingere, impattando di fatto sulla ricchezza informativa del Web, uno dei suoi migliori pregi (ogni tanto visito anche SeattleTimes, Washington Post, L’Equipe e molti altri siti di news). Percepirei il tutto come una limitazione e un passo indietro. La selezione darwiniana applicata alle notizie a pagamento mi porterebbe necessariamente a una focalizzazione su pochi ma buoni. Ritorno quindi sempre al punto di partenza: presupposto per la sopravvivenza di un editore, la qualità del proprio prodotto. Senza questo requisito di base non mi avrete vostro cliente. Altra alternativa interessante, quanto i cable network americani offrono ai propri clienti attraverso una subscription mensile: un ampio spettro di canali (AKA contenuti). Se ci fosse qualcosa di simile, decisamente valuterei attentamente questa proposta a valore aggiunto grazie ad un’aggregazione ragionata (o à la carte) di fonti informative..

Questo articolo ha 6 commenti.

  1. Ilbellodelweb

    Complimenti per il nuovo incarico e soprattutto per avere un blog! Buon (nuovo) inizio 😉

  2. Francesco

    Quanto tempo è passato dall’era “Mondadori Informatica Education” e dalle mitiche WPC …

    Complimenti per il nuovo incarico!

  3. Asa

    Bentrovato. Concordo, e il recentissimo accordo tra WP, NYT e Google su Live story pages dimostra che ci sono strade alternative alla folla di micropagamenti.
    Congratulations per la migrazione

  4. fabio

    ma se il gruppo l’espresso, rcs o anche google chiedessero una fee ai provider (quelli cioè che oggi incassano dagli utenti)?” se non mi dai parte del canone, io non faccio accedere al mio sito i tuoi utenti”. mi sembra un sistema semplice per recuperare un po’ di soldi, no? che ne pensi stefano?

  5. Stefano Maruzzi

    Fabio,

    non sarebbe male. È quanto hanno fatto negli USA i cable network che da semplici fornitori di connettività si sono dapprima trasformati in fornitori di connettività e contenuto televisivo, seguito poi da telefonia fissa e internet. E adesso – vedi Comcast – con l’acquisizione di NBC, si spostano ulteriormente nella catena del valore con l’obiettivo di preservare alti ARPU anche qualora l’accesso al contenuto shiftasse dai canali televisivi a soluzioni tipo YouTube.
    Il problema che vedo relativamente agli ISPs è che dovrebbero abbracciare una logica da cable operator in un contesto dove però il contenuto è percepito totalmente gratuito dai consumatori. Questo approccio potrebbe avere successo solo se una realtà significativa come Telecom Italia riuscisse a convincere i player locali principali a passare dal modello gratuito a quello a pagamento.
    Cubovision di TelecomItalia? La strada è assimilabile, ma con l’obiettivo di raggruppare contenuto e valore all’interno di un’esperienza più controllata.

    Stefano

  6. fabio

    gli isp non forzeranno mai questo status quo dove i “poveri” editori regalano contenuti. a mio parere dovrebbero essere gli editori a obbligare gli isp ad essere pagati. poi gli isp decideranno se girare questo costo ai loro clienti. in effetti non vedo molte differenze con sky. con abbonamento base leggo la posta e poco altro. voglio leggere corriere.it o repubblica.it? premium price bouquet news, ecc.
    vuoi non pagare 2€ per accedere ai siti di informazione o 10€ per accedere a google? 🙂
    mi viene da sorridere pensando a quando, nel 95?, presentavi MSN (classic) che consisteva appunto in collegamento+contenuti. forse il vecchio bill non aveva proprio fatto un errore così madornale ma solo un errore sui tempi?

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