Evaporazione digitale

Dapprima è toccato alla musica. Più recentemente ai media cartacei e i film. In prospettiva ai libri. Sembra quasi una regola che non ammette eccezioni quanto succede  a settori, industrie e prodotti una volta che – volenti o nolenti – da fisici diventano digitali. Mi riferisco alla perdita di valore economico o – ancora meglio – alla evaporazione di valore che si manifesta con la riduzione della dimensione complessiva della torta in questione. Partiamo proprio dalla musica. Il Cd era e continua a essere un ottimo strumento per veicolare la musica, caratterizzato da standard qualitativi e di durata di primo livello. Da quando iTunes ha iniziato a vendere la musica in digitale il declino delle vendite di prodotti fisici è calato sensibilmente a fronte di un consumo in crescita esponenziale. È quest’ultimo il primo assioma del teorema sull’evaporazione del valore. Paradossalmente il restringimento dell’industria di riferimento è associato a un incremento dei volumi di musica consumati rendendo il tutto ancora più ironico e imbarazzante al tempo stesso.

Il secondo assioma riguarda il numero di fette estratte dalla torta. Se in passato – parlo di un decennio al massimo – esisteva una forte competizione nel settore della distribuzione della musica con catene dedicate e ampi spazi dedicati nei superstore di informatica e consumer electronics, oggi nemmeno questo è più vero. In un contesto di elevata competizione c’è spazio solo per uno o due player per categoria, processo dettata da una forte spinta alla selezione naturale e alla progressiva emarginazione di chi non è stato equipaggiato dalla “natura” con le caratteristiche e le qualità per emergere e ricoprire un ruolo da leader.

Riassumendo il tutto in modo più schematico:

  1. Il passaggio al digitale comporta una perdita di valore;
  2. La dimensione del mercato di riferimento si restringe, mentre i consumi crescono esponenzialmente;
  3. La fetta più consistente del nuovo mercato più piccolo creatosi è ad appannaggio di un player spesso dominante, capace di raccogliere su di sè se non la quasi totalità degli introiti o una percentuale molto, molto significativa;
  4. Il market leader non proviene dall’industria di riferimento.

Applicando questo insieme di considerazioni alla musica digitale si ottengono questi risultati:

  1. L’industria musicale registra nel suo complesso fatturati in calo da ormai diversi anni;
  2. Il consumo di musica grazie al digitale e ai dispositivi mobili (iPod e telefoni vari) è cresciuto verticalmente;
  3. iTunes è il leader incontrastato seguito a distanza da realtà come Amazon.com, Napster e Rapsody;
  4. Apple è storicamente un’azienda di computer e di prodotti fisici, non servizi.

In modo analogo lo stesso modello si applica con altrettanta validità al commercio elettronico, ai libri, agli e-readers, alla pubblicità online, alla distribuzione di film e a molti altri segmenti e settori.

L’aspetto più interessante riguarda la divaricazione tra consumi e fatturati. Alla crescita dei primi non segue una produzione altrettanto crescente di valore. Questo dipende sia dall’abbassamento dei costi con vantaggi trasferiti almeno in parte sui consumatori, sia dal fenomeno delle copie illegali. Ancora una volta la musica è un esempio lampante in merito, ma non l’unico. Nel caso dell’editoria il fenomeno della pirateria non sussiste, ma il secondo punto della mia teoria è un’esplicita conseguenza della strategia seguita dai produttori di news fin dall’inizio dove l’accesso gratuito al contenuto prodotto è stato considerato il modello vincente ipotizzando introiti a valanga provenienti dalla pubblicità. Come ben sappiamo, le cose sono andate diversamente.

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