Esistono molti modi per esprimere la propria identità digitale. Per alcuni la soluzione più semplice consiste nell’astenersi dal farlo. Conosco almeno un paio di persone, perfettamente sane, mature e nella pienezza delle proprie facoltà mentali che non dispongono di un profilo Facebook. Vivono una vita felice e non sembrano manifestare scompensi particolari. E Facebook, per quanto super popolare, non è di sicuro l’unico modo per manifestare la propria digital identity. Esistono dozzine e dozzine di servizi più o meno specializzati – About.me forse il più carino per semplicità e immediatezza – pensati come piattaforme sulle quali “saltare” per raccontarsi, conoscere, comunicare, interagire e collaborare. All’abbondanza delle soluzioni per il singolo non corrisponde un’altrettanto ricca serie di alternative quando si ricopre un ruolo professionale. D’altronde ciascuno di noi è dapprima un individuo e poi un fotografo, un manager, un artista, un contribuente, un imprenditore o un professionista. Più semplice, comodo e spontaneo raccontare del rancio di pesce spada alla griglia attraverso una foto che descrivere il proprio business.
Analizzando i numeri, si arriva sempre a un risultato scontato e comune alle maggiori economie mondiali: nonostante il fascino rappresentato dalle grandi aziende con brand capaci di suscitare emozioni e sogni, i numeri – sia in termini occupazionali che di fatturato – arrivano dalla somma della laboriosità delle Small-Medium Enterprises (SMEs). Qualcosa come la teoria della lunga coda applicata all’economia da sempre. La definizione di SME parte realtà composte da un singolo individuo fino a raggiungere dimensioni comunque sempre contenute. Vale per qualsiasi economia, partendo dagli Stati Uniti in giù. Affascinati per molti motivi le varie GE, Apple, Amazon, Microsoft, Intel, Tesla, Ford, P&G, Shell, HSBC di questo mondo, ma è il generico Joe che rappresenta la maggioranza degli individui sul pianeta e contribuisce alla produzione della ricchezza complessiva. Tutte le aziende citate in precedenza in ultima battuta lavorano e sviluppano prodotti e servizi per Joe. Essere digitale per Joe è semplice quando si tratta di cercare un’anima gemella, commentare di calcio, prenotare un viaggio o fare degli acquisti. Più complicato quando Joe diventa protagonista in prima persona e deve rappresentare il proprio business nel contesto digitale. A scuola viene insegnato Dante e Manzoni, un po’ meno – ma magari sbaglio e mi scuso – come fare business con strumenti digitali molto complessi nella loro costruzione, ma spesso resi disponibili a costo zero o irrisorio.
GoDaddy non ha la presunzione di colmare il gap tra le lezioni di letteratura italiana (argomento assolutamente fondamentale e vitale come avete ben capito) e la tecnologia, ma molto più semplicemente offre una serie di servizi digitali concepiti e progettati avendo in mente le SMEs di tutto il mondo e le loro esigenze. Negli USA l’azienda è molto nota per i propri servizi (oltre 55 milioni di domini in gestione, 12 milioni di clienti, 9 sedi, 4,000+ dipendenti, …), una strategia di comunicazione molto aggressiva (sotto il commercial del SuperBowl 2013 che ha fatto sognare tutti i nerds del pianeta), un pilota vincente in Formula IndyCar, una spokeperson di grande successo come Danica Patrick, una mezza dozzina di acquisizioni nel 2013, un leadership team composto da egregi professionisti e di provate qualità e per aver ricevuto alcuni miliardi di dollari di investimento per accelerare la crescita da parte di tre fondi i investimento top nel settore tecnologico. Ora tocca all’espansione internazionale con EMEA (Europe, Middle East and Africa) come prima tappa con base Londra. Exciting.