Leadership in Technology: i nuovi duellanti

I cambi di guida nelle aziende sono all’ordine del giorno. Nel 2009 la tenuta media di un CEO nelle aziende quotate in borsa era di poco superiore ai due anni, periodo che si è accorciato anche in conseguenza della crisi economica. Cercare di ridefinire le regole del gioco partendo dal vertice una soluzione spesso adottata dal board per dare una scossa a situazioni di stallo e rivitalizzare un’organizzazione. Negli ultimi anni però, la letteratura contemporanea ha messo in evidenza casi macroscopici di leader oggettivamente inadeguati chiamati a guidare colossi per fatturato e numero di dipendenti (HP un caso eclatante), ma anche vertici dell’esercito USA che vincono battaglie di ogni genere e poi scivolano miseramente su questioni personali (David Petraeus) o di ego (Stanley A. McChrystal).

Nel settore tecnologico, Apple ha visto la dipartita forzata di Scott Forstall e ieri Microsoft di Steven Sinofsky. Il primo è considerato il padre di iOS, il secondo la guida interna in Microsoft che ha portato allo sviluppo di Windows 8 in tutte le sue ultime incarnazioni. Apparentemente non soltanto due persone super competenti nel settore software, ma anche a capo di grandi organizzazioni e con responsabilità oggettive sull’intera azienda. I prodotti equipaggiati con iOS – iPhone e iPad – rappresentano la percentuale più significativa del fatturato di Apple, Windows non ha bisogno di presentazioni visto che è dal 1993 un protagonista assoluto del mondo dell’IT.

Interessanti altre analogie oltre a essere capo di divisioni che si occupavano di sistemi operativi di grande popolarità. In entrambi i casi la motivazione principale che ha indotto alla separazione dopo tanti anni (Sinofsky era in Microsoft dal 1989, Forstall in Apple dal 1997) era la scarsa o limitata cooperazione interna e i dissapori con i colleghi. Difficile sapere effettivamente come siano andate le cose. Di sicuro nel caso di Microsoft Sinofsky è arrivato alla guida di WIndows dopo una situazione interna di confusione e di prodotti modesti che sono riusciti ad allontanare molti consumatori, io uno tra questi. È anche ironico ricordare come uno dei leader precedenti fosse un istrione nella comunicazione, quasi un idolo per tutti in Microsoft, un personaggio molto estroverso e divertente. Tutti si ricordano ancora i suoi interventi all’evento Microsoft interno di metà anno dove la sua presentazione era considerato un momento clou. Perfetto team player, amico di tutti, simpatico e disponibile: peccato che non deliverasse come si dice in gergo.

Forstall e Sinofsky sono descritti come “ruvidi”, combattivi, poco propensi al teamwork e, in ultima battuta, poco adatti al gioco di squadra. Ancora una volta, difficile fare un’analisi dall’esterno, ma la sensazione è che qualcosa non quadri. In un settore così competitivo e guidato dall’innovazione tecnologica, un vantaggio disporre di visionari (Steve Jobs, Bill Gates, Larry Allison, per esempio), ma spesso si tratta di soggetti con un carattere tutto tranne che improntato alla dolcezza dei rapporti interpersonali come più volte documentato e supportato da abbondante letteratura. L’accusa nel caso dei due exec citati proveniva dai colleghi. Non sorprende perché in entrambi i casi le voci su possibili promozioni a ruoli di ancora maggiore responsabilità erano frequenti e sostanziate.

Entrambi lasciano con una ricchezza personale di diverse centinaia di milioni di dollari, condizione che li mette al riparo da qualsiasi esigenza lavorativa forse per almeno un paio di generazioni. Il dubbio che rimane è il seguente: in un contesto super competitivo, decisamente aggressivo sia sul fronte interno che quello esterno, è realisticamente possibile coniugare competenza, skills, IQ e creare all’esterno condizioni di reale e oggettivo apprezzamento per il proprio operato? Soprattuto quando il panorama offre esempi di CEOs decisamente inetti o inadatti a ricoprire un simile ruolo?

In sintesi, questo mi sembra il quadro:

  • delazioni interne dettate da invidie;
  • mostruose pressioni per deliverare risultati sempre migliori;
  • management superiore spesso incompetente, inconcludente o con un’agenda strettamente personale;
  • passione per la tecnologia e l’innovazione

Dovendo scegliere, il CEO di turno segue la strada della convenienza: preferisce il quieto vivere interno, non avendo nemmeno il coraggio, l’interesse e la competenza per capire cosa convenga fare per il bene dell’azienda.

Questo articolo ha 3 commenti.

  1. squerne

    Mi piace la tua analisi… una diretta conseguenza del Peter Principle ovvero l’inizio della fine?

  2. Stefano Maruzzi

    Forse, con cicli lunghi però. Ma anche The Endless Quest for Leadership

  3. PaoloGU

    Approvo in pieno

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