Concetto un po’ forte, ma sicuramente da approfondire, almeno dal mio punto di vista. A rilasciare questo epitaffio è stato recentemente Michael Wolff, giornalista americano e autore di una biografia su Rupert Murdoch. A mio avviso si tratta di un commento esagerato, anche se geograficamente collocato negli USA e rivolto ai quotidiani statunitensi. Per esperienza sappiamo che anche i processi più traumatici richiedono comunque del tempo e che nei media c’è comunque spazio per diverse tipologie di tecnologie. Sicuramente quella della carta non sembra disporre degli elementi per un futuro radioso, ma passeranno decenni prima che questa predizione si avveri.
Detto ciò, la parte interessante di questa affermazione risiede nell’ultimo termine. Considerare i quotidiani una tecnologia è una prospettiva nuova e indiscutibilmente interessante perché implicitamente apre le porte all’evoluzione futura. Dubito fortemente che qualcuno nel settore dei quotidiani abbia mai fatto ricorso a questo termine per descrivere il proprio settore e lavoro, ma sta proprio qui la chiave di lettura per una ripartenza con nuovo slancio. Il consumo di media è in costante crescita e il bisogno di qualcuno che produca “contenuto” di vario genere rimane centrale e vitale per gli anni a venire. Difficile definire come gestire il passaggio e la transizione, ma la strada dei sussidi e degli aiuti sembra la meno in linea con un’idea di libero mercato. Produrre news non è mai stata una tecnologia economica, anche se i progressi conseguiti negli ultimi anni hanno consentito di incrementare in modo significativo la copertura del globo a costi contenuti. La prima guerra del Golfo ha aperto di fatto la strada a una nuova forma di giornalismo tecnologico. Negli USA sono state formulate diverse soluzioni per nuove forme di giornalismo online, ma nessuna di queste si applica come ricetta magica alle grandi organizzazioni.
La grande delusione del digitale è stata la disconnessione tra aspettative associate alla pubblicità e i numeri reli prodotti dal mercato, un divario troppo ampio per consentire una transizione indolore. I 30M di UU mensili di guardian.co.uk comprendono un forte componente esterna a UK (oltre due terzi) e il livello di monetizzazione per singolo visitatore è effimero rispetto all’ARPU estratto dal business model cartaceo dei bei tempi andati. Non resta altro che la strada del pagamento? Così la pensano a News Corporation, atteggiamento da apprezzare e condividere. presto saremo in grado di misurare l’impatto del passaggio al modello del pay wall sui siti de The Time e The Sunday Times.
Ciao Stefano ( ti do del “tu” come mi hai consigliato durante l’incontro del 28 maggio con gli studenti di Ingegneria Gestionale, da te presieduto).
Nelle parole di Wolff trovo una certa correlazione con i dubbi (a mio parere la più grande sorgente di stimoli) che continuo a nutrire nei confronti della gestione dell’approvvigionamento “news” da parte delle companies più grandi. Ti propongo un case study di cui ho diretta conoscenza:
l’azienda Rai (dove lavora mia sorella), che dovrebbe rappresentare il top of the top per ciò che concerne la raccolta dati e info provenienti dal mondo giornalistico, si rifornisce di queste risorse, per lo più, in forma cartacea.
Questo comporta la generazione di enormi quantità di rifiuti , la difficoltosa catalogazione delle notizie, e notevoli sprechi in termini di spazio e tempo.
Forse Wolff precorre sensibilmente i tempi , ma di sicuro la sua visione del “quotidiano” come prodotto soggetto a possibile ingegnerizzazione , merita di finire sulle scrivanie dei dirigenti Rai , o ancor meglio nei loro pc / Mac.
Cordiali saluti
A. Runci
A volte penso esistano universi multipli, paralleli. Alcuni di noi sono immersi in un contesto tecnologico avanzato e pervasivo. Riteniamo anche che tutti ragionino e operino in questo modo, ma evidentemente non è proprio così. Esistono appunto “universi paralleli” dove non necessariamente la qualità della vta è peggiore, di sicuro molto diversa. Io preferisco il nostro.