Tutti sognano la disruption, l’innovazione, la scalabilità e i volumi: questi gli ingredienti spesso sinonimo di successo per nuovi business digitali. Instagram e Pinterest due recenti esempi di come si possa passare dall’anonimato più totale a visibilità mondiale nel volgere di poche stagioni. L’economia digitale ha introdotto nella vita di tutti i giorni la percezione di cambiamento continuo e repentino, a volte facendo addirittura ritenere obsoleti prodotti e servizi considerati innovativi fino al giorno prima. L’ascesa e la caduta di MySpace, MSN Messenger, Napster e Netscape solo alcuni esempi vittime di proprie scelte sbagliate o di forti e repentini attacchi dalla concorrenza.
Il settore musicale è stato il primo a subire l’attacco – lo tsunami – del passaggio dalla distribuzione fisica al digitale. Qui le vittime hanno i nomi di tutte le catene di negozi specializzati – Tower Records, Sam Goody, Borders e molte altre – con le etichette discografiche per diversi anni spettatrici passive e incapaci di gestire il cambiamento. Dal 1999 si è assistito a un continuo declino delle vendite di CD e di musica nel suo complesso, complice la facilità di scambiare file musicali acquisiti illegalmente, la disgregazione del supporto fisico che ha scardinato il modello della pacchettizzazione di 10+ brani per lasciare posto a una singola canzone e l’inizio della distribuzione di musica in formato digitale. Tutti questi fattori hanno giocato contro le vendite di CD. Apple iTunes, la maggiore piattaforma al mondo per la distribuzione di musica digitale oggi, ha quasi dieci anni di vita avendo aperto i battenti il 28 aprile 2003.
La contrazione del comparto è ben sintetizzata in queste due cifre: $38B alla fine degli anni novanta rispetto a $16.5B nel 2012 di cui $5.6B provenienti dalla vendita o streaming in formato digitale con una crescita del 9% rispetto al 2011. Non molto, onestamente. Questi alcuni dati riportati da IFPI nel Digital Music Report 2013.
Il settore musicale è stato il primo tra i media a sperimentare sulla propria pelle i “benefici” del passaggio alla digitalizzazione. Due le considerazioni evidenti che emergono dalla retrospettiva di questi ultimi 12+ anni:
- come considerare la perdita di valore registrata in questo periodo
- i tempi lunghi dell’accettazione di nuove piattaforme distributive.
Sembrerebbe lecito arrivare alla conclusione che nel passaggio dal fisico al digitale ci sia un’oggettiva perdita di valore. La contrazione del fatturato complessivo dell’industria musicale la prova più evidente. Questo significa che digitalizzare i contenuti corrisponde a evaporare fatturati e limitare la ricchezza prodotta? In parte è proprio così. La torta si restringe consistentemente un po’ per maggiore efficienza nei processi. Risparmio di costi lungo tutto il processo produttivo, dalla stampa dei CD, al loro trasporto, distribuzione ed esposizione nei punti vendita. Costi assorbiti in ultima battuta dal consumatore che rendevano felici trasportatori e altri addetti alla produzione e hanno consentito per anni la crescita, diffusione e sviluppo di punti vendita specializzati. Spariti tutti, gente a casa e spazi commerciali vuoti, ma – in ultima battuta – “pulizia” del processo produttivo, capillarità nemmeno paragonabile al passato per quanto concerne l’aspetto distributivo e grande vantaggio per il consumatore. Per molti suppliers una sventura l’evoluzione al digitale, ma è una costante alla quale occorre abituarsi e anche velocemente.
Il secondo aspetto addirittura più sorprendente. Personalmente credo di aver abbandonato l’acquisto di CD ormai da una decina d’anni e di spendere almeno una decina di dollari alla settimana in musica. Nessun rimpianto per la mancanza del cofanetto fisico che molti adorano tutt’oggi, soddisfazione nel’investire mediamente $1 a canzone vista la fecondità ripetuta del bene e il piacere che ne consegue. Analizzando i prezzi dei CD sul mercato USA negli anni si scopre qualcosa di interessante. Nel 2003 un CD audio negli USA aveva un prezzo medio di $15.06 riconducibile a $1.5 per canzone nell’ipotesi di contenere una decina di brani come la regola in quei tempi. Questo valore si è mantenuto inalterato per diversi anni, anche se recentemente le cose sono cambiate, addirittura ribaltate. Acquistare oggo un CD Audio su Amazon.com di una band di successo come Fun costa solo $8.99 per 11 brani pari a 81 centesimi a pezzo. Rimane la monoliticità della soluzione, ma il costo è comunque veramente basso, un’altra giustificazione al calo del fatturato complessivo dell’industria musicale.
Ma lasciamo perdere la variabile fatturato che sappiamo essere influenzata da un prezzo per canzone molto elevato in passato rispetto a oggi, capace quindi di gonfiare i fatturati di 10+ anni fa. Quello che sorprende è la contrazione complessiva nei volumi, quanto la RIAA (Recording Industry Association of America) definisce con il termine shipment. I brani digitali più venduti nel 2012 non superano di molto i dieci milioni di pezzi, un buon 40% in meno rispetto alle hits di un decennio fa. Parte di questa contrazione va imputata alla crescente diffusione del modello di streaming ben interpretato da Spotify, Pandora e qualche altro player. Sembra comunque paradossale che in uno scenario di elevata comodità e convenienza per il consumatore, di successi globali e istantanei come il coreano PSY (ha di poco mancato la soglia dei 10 milioni di pezzi venduti) e di varietà dell’offerta come formati e prezzi, le vendite in formato digitali crescano a una cifra anno su anno e non raggiungano nel complesso nemmeno $6B. Sul mio iPhone oltre 2GB di spazio sono occupati da file audio, una selezione della mia libreria iTunes. Negli ultimi 12 mesi sono stati venduti 170 milioni di iPhone, più un numero incredibilmente grande di smartphone equipaggiati con altri sistemi operativi. Se la sola comunità di iPhone rispecchiasse la quantità di musica presente nel mio telefono (circa 250 brani considerando un’occupazione media di 8MB per canzone), il totale sarebbe di oltre 42 miliardi di pezzi, molti dei quali potrebbe provenire da ripping di CD nuovi e vecchi. Detto ciò, o io sono un grande divoratore di musica o il fenomeno dell’illegalità è ancora decisamente ampio.
Pingback: Esiste una perdita di valore nel passaggio al digitale?
Pingback: Esiste una perdita di valore nel passaggio al digitale? | 40k