Ieri a pranzo ho velocemente ripercorso le tappe di AOL, da incontrastato leader del mercato del nascente digital advertsing dieci anni fa a ormai comprimario del settore. In questo post sarò ancora più sintetico. La fusione con Time Warner – o meglio l’acquisizione – ha disatteso le aspettative di tutti dimostrando come i tempi per una soluzione one-stop-shop nella pubblicità online e offline non fossero maturi e i mercati pronti a una simile proposizione. Di sicuro anche problemi interni legati all’articolazione di una strategia sinergica tra le diverse parti dell’azienda hanno contribuito all’insuccesso del mega colosso dei media fino a partare alla separazione delle attività online in un’entità indipendente quotata in borsa, la nuova AOL. Prima di arrivare a questo passo, AOL è passata attraverso il progressivo smantellamento delle operazioni internazionali, la cessione delle attività d’accesso in Europa, licenziamenti massicci, la costante erosione nel numero di abbonati alla connessione narrow-band, solo dieci anni fa il fiore all’occhiello dell’azienda di Alexandria e la propria fonte principale di fatturati e profitti. In un decennio, da leader globale con oltre 15,000 dipendenti a potenza decaduta con un terzo della forza lavoro. È però per me sorprendete vedere come nonostante tutti i problemi attraversati in questi ultimi 5 anni, l’azienda sia stata capace nell’ultimo trimestre di raccogliere la bellezza di $471.6 milioni in fatturato pubblicitario digitale con la componente display in leggera crescita e quella legata al motore di ricerca in forte calo (-19%). Nonostante la debolezza del dollaro, si tratta pur sempre di oltre €200M una cifra colossale per gli editori nostrani. Rimanendo però nel mercato digitale statunitense, gli oltre 400 milioni di dollari raccolti da AOL risultano comunque un ammontare gigantesco se confrontati che quanto realizzato da The New York Times, a mio avviso un prodotto editoriale di elevatissima qualità. I dati dell’ultimo trimestre appena concluso saranno disponibili il prossimo 10 febbraio. L’ultima informazione riportata alla SEC indicava in $39M l’ammontare complessivo raccolto in pubblicità digitale. Il rapporto è superiore a 1:10, come facilmente calcolabile. Analizzando i dati un po’ più in profondità si arriva a comprendere meglio la composizione delle revenue digitali come illustrato alla fine di questo post.
Il puro display advertising prodotto negli USA ammonta a $151.7M (€100M), mentre la porzione internazionale ormai in fase di smantellamento ha contribuito per “soli” $24.7M o circa €17M, sempre in un solo trimestre. Confrontando la sola porzione display con il fatturato equivalente de The New York Times in trimestri diversi, ma tutto sommato assimilabili, il rapporto scende a un più accettabile 1:3.9. In altre parole, AOL ha raccolto negli ultimi mesi circa 4 volte quanto è stato capace di fare NYT nel segmento del display advertising. Ora, nell’ipotesi che i numeri che ho assemblato siano corretti e confrontando in modo empirico lo”stato di salute” delle due aziende prese in esame, sarei propenso ad arrivare a una conclusione a mio avviso alquanto ovvia e scontata, ma forse non a tutti. Se il migliore quotidiano online degli USA riesce a raccogliere pubblicità in misura significativamente inferiore rispetto a un ex-grande forse qualche motivo di tipo strutturale ci dovrà essere anche perché ritenere che questo divario sia solo frutto di fortuna o casualità mi sembra possa essere escluso. Indipendentemente dalla stagnazione degli investimenti in display advertising, sembra evidente come la logica di interpretare il Web da parte di una Media Company di grande prestigio e successo non sia in linea con le regole intrinseche che sembrano governare i criteri di assegnamento dei budget promozionali delle aziende che investono nel digitale. Molte le possibili ragioni. Di sicuro quello che questi numeri provano è che anche in un mercato più ampio, competitivo e capace di esprimere il meglio della tecnologia sul Web, un “vecchio” portale performa molto meglio di un eccellente sito di notizie almeno secondo la prospettiva del conto economico. Mi avventuro in due ipotesi: l’ecosistema Web non si addice alle grandi strutture editoriali dell’offline e in qualche modo le penalizza o queste ultime non hanno capito che riproporre la ricetta di advertising e subscription non si applica a questo mezzo. Ma i soldi sembrano esserci e sembrano continuare a premiare un modello – quello del portale – che ormai ha fatto il suo tempo e comunque non è innovativo in una prospettiva Web 2.0. È però semplicemente avveniristico e futuristico in termini di risultati come confermato anche dai dati di Yahoo! se confrontato con quanto riescono a concepire e raccogliere molte Media Companies tradizionali nel momento in cui diventano “digitali”. E per quanto ironico possa sembrare, è anche possibile che AOL sia ancora in pista tra 5 anni solo grazie alle proprie forze. Sarebbe proprio bello.
Q4 2009 Q4 2008 Change ------------- --------- ---------- (In millions) Advertising revenue Display $ 176.4 $ 181.1 -3% Display - domestic 151.7 149.5 1% Display - international 24.7 31.6 -22% Search and contextual (1) 145.4 179.8 -19% --------- -------- AOL Properties 321.8 360.9 -11% Third Party Network 149.8 151.6 -1% --------- -------- Total advertising revenue 471.6 512.5 -8%
interessante. Credo che in Italia qualcosa del genere sia il portale Alice di Telecom Italia. Indubbiamente ancora oggi il mercato sembra premiare le aziende che sanno coniugare al meglio il mix accesso-contenuti on line. Direi sorprendente in piena era del Web 2.0…. o forse no 😉