Ogni giorno per quasi due settimane ho trovato puntualmente davanti alla porta della mia camera una copia di WSJ accompagnata da USA Today. La distribuzione avveniva verso le 4:00am e una mattina ho assistito al tutto in diretta in occasione di una visita anticipata alla palestra. Li ho conservati e accumulati quasi con cura, impilandoli uno sull’altro, ripromettendomi sempre di fare una foto poco prima del check out. La fretta dell’ultimo momento me l’ha impedito e quindi l’immagine proposta non è quella “originale”, ma rende comunque l’idea: intonsi.
E non avrebbe potuto essere diversamente. La prima riflessione va all’omino che usando un carrello per il trasporto delle valigie appunto alle quattro di mattina deliziava i leggeri di sonno scaraventando a terra dei malloppi di dimensioni non trascurabili, sopratutto nel weekend. Lavoro non particolarmente edificante e nemmeno troppo utile se anche solo una parte dei beneficiari di questo servizio si è comportato come il sottoscritto. Poi ho pensato alla quantità di chili spostati in questi giorni, sempre inutilmente. Stessa considerazione per la carta impiegata. È stata poi la volta di una riflessione un po’ più mirata legata al contenuto. Mi sono domandato – quasi auto-sfidato – perché non fossi interessato a beneficiare di un prodotto tangibilmente concreto, di spessore e sicuramente ben fatto. Snobismo da ometto digitale che rifugge da tutto quanto non sia riconducibile a bits? Possibile, ma sarebbe troppo stupido. Non interessato alle notizie americane? Direi non pervenuta la domanda nel mio caso specifico. Sono pigro o non ho molto tempo? Vera la seconda, mi tengo costantemente informato. Questo il punto: tutto quello che era contenuto in quei fogli di carta era già vecchio e già noto. La corsa di un’ora sul tappeto in palestra prevista per le 5:00am mi avrebbe fornito tutto il necessario sugli ultimi sviluppi di Boston Bombing, il processo di Jodi Arias, la situazione in Siria, i risultati dei play off NBA e qualche altra notizia internazionale. Attraverso il Web avrei avuto modo di capire il livello di ridicolaggine della situazione politica italiana. Ma per questo genere di aggiornamento sarebbe bastata una veloce scorsa sullo smartphone nel lounge durante la colazione.
La reale motivazione del mio comportamento va individuata semplicemente nel displacement temporale del contenuto veicolato in un giornale cartaceo. Non è una rivelazione profonda, ma una presa di coscienza definitiva. Per me almeno non è proprio possibile trovare in un mezzo cartaceo uno strumento valido per rispondere al bisogno di informarsi. La sentenza è diventata definitiva quando – appena salito a bordo – mi hanno offerto una copia del Daily Mail. L’occhio è scivolato involontariamente nell’angolo superiore destro dove compariva £.90. Per un micro secondo sono rimasto quasi come fulminato: ho realizzato che l’oggetto nelle mie mani aveva un prezzo – del valore – e la cosa mi ha quasi stupito trovando doppiamente anacronistico quanto stessi facendo e anche il presupposto teorico che avrei dovuto pagare per farlo. Dopo una frazione di smarrimento mi sono ricordato che in passato, molti anni fa, questa era un’abitudine abbastanza diffusa e condivisa tra gli umani: leggere il giornale. E ho capito quanto tempo sia già trascorso e quanto profondo sia il solco segnato dal digitale nelle mie abitudini. La sensazione è di non essere il solo.
la sensazione più pericolosa è quella relativa al prezzo. Un giorno anche il tuo lavoro, quale che sia, verrà considerato sostituibile dal gratis. E tu, oggi che ce l’hai e giudichi quello degli altri, sicuramente sei tranquillo e ti senti nella ragione facendo la considerazione che “qualcosa” sostituisce egregiamente ciò che ieri faceva un professionista od, addirittura, un team di professionisti; spesso per far parte di un simile team era necessario non solo essere preparati ed appassionati, ma anche fare della gavetta e dimostrare di avere doti non comuni e talento. E tutto questo, quanto mai prima, doveva permettere di pagare i conti di ogni mese, magari mandando a scuola i figli.
Tutto questo oggi è davvero sostituibile da qualcosa di gratis? Qualcuno ha realmente inventato il “modello di business che sostituisce X” ? Dove X è qualsiasi cosa?
Davvero quindi non ha senso prepararsi a fare una cosa qualsiasi perché tanto alla fine quel lavoro verrà sostituito dal gratis.
E come tecnologo dovresti anche renderti perfettamente conto che lo scopo primario della tecnologia è, per gli scenziati, fare qualcosa di più di ieri ed alleviare le fatiche e le sofferenze umane… ma per l’economista o il misuratore dell’efficienza ed, in ultima analisi per il tecnologo stesso, l’eliminazione dall’intero processo di sé stesso come operatore e degli esseri umani in generale. Luddismo? Ma è poi tanto sbagliato? Tim Harford ha un bel dire che i posti di lavoro persi dal contadino sono guadagnati da chi costruisce il trattore … ma sono BS . Costruito un trattore l’operaio ha finito e il trattore funziona per 20 anni: 20 anni in cui quei contadini dovrebbero venire ibernati o, semplicemente, morire.
L’informatica elimina gli informatici. Più aumenta l’efficienza e meno persone servono, ovviamente. E lo scopo dell’ottimizzazione è questo.
Alla lunga ogni processo efficientista se non legato ad un motivo umanista porta al disastro, a quello che gli economisti definiscono “too big to fail” … è vero e persino loro se ne accorgono… eppure lo facciamo.
Si parte da una piccola cosa: da considerare possibile che il frutto del lavoro di qualcuno DEBBA essere liberamente fruibile, gratis, sempre. Si prosegue disprezzando (de-prezzando) ciò che ci viene offerto come favore (ti offro una cena, ti offro un caffé – offrilo al meccanico dopo 4 ore sulla tua M3 e vediamo cosa dice) … si arriva ad alcune generazioni successive che NASCONO dentro al concetto che queste cose gratis si DEBBANO avere, siano da pretendersi e che ciò che ha un prezzo sia una truffa ed il desiderio di fregare gli altri.
La tecnologia ha consentito di osservare il comportamento umano sulla democrazia pura nel crowdsourcing: si è visto che non siamo delle belle personncine (fai un giro nelle cronologie degli ultimi 9 anni di wikipedia) … la tecnologia ha permesso di vedere che il “modello di business” sulla creatività digitalizzabile porta al “è su internet, quindi è gratis, quindi me lo prendo” : e questo riguardo a qualsiasi cosa fosse digitalizzabile: mestieri scomparsi, decisioni di studenti di non dedicarsi a qualcosa che avrebbero fatto volentieri e con talento per tutta la vita … posti di lavoro persi, settori scomparsi…
e dal punto di vista dell’utente finale dico: è sparita anche la qualità di lavori fatti da chi li sapeva fare, sostituiti quando va bene da schifezze fatte a basso prezzo, ma di sicuro senza più alcun desiderio di migliorare: deve solo costare poco. Spesso è sparito il know how. Spesso con la scomparsa della comprensione della qualità da parte di produttore e consumatore si assite al regresso e alla stupidità nel giudizio delle cose. Nessuno sa cosa può pretendere e cosa no.
E io che dico così lo compro il giornale? No, non l’ho mai comprato. Ma quando l’ho davanti, lo leggo: magari un pezzo alla settimana. Compro i lbri, quelli senza una clausola che consente di farli scomparire dalla mia libreria o di prestarli e regalarli o di leggerli con i miei occhi o con una versione meno aggiornata, oppure di trasferirli dove mi pare oppure di regalarli alla biblioteca: tutto possibile. E con un impatto ambientale valutabile. Non posso dire che la valutazione di questo o di Novella2000 sia la stessa. Ma chi lo compra dimostra che sia io che te ci sbagliamo.
Amo la tecnologia, ma la tecnolgia non è in grado di amarmi: il suo scopo è rendere inutili le azioni di un essere umano.
L’ha ribloggato su Busecae ha commentato:
Chissà quando queste cose arriveranno nei pochi neuroni degli impiegati di palazzo Chigi