Si vocifera da tempo che il web sia morto. E anche che Elvis sia vivo.

L’ha affermato Wired lo scorso agosto, quindi vero per definizione, giusto? Personalmente non credo sia un reale problema, quanto piuttosto una forzatura editoriale per generare attenzione sulla testata come spesso succede.  Quello che conta è che l’infrastruttura tecnologica per trasferire informazioni e dati continui a svilupparsi e a crescere rendendo semplice e ubiquitous l’accesso a chiunque, in ambito wired e wireless. Allo stesso tempo è scontato che le interfacce utente e le piattaforme di sviluppo miglioreranno sempre nel tempo, rendendo più avvincente la sfida per gli sviluppatori di soluzioni. Arrivo subito alla conclusione: browser di nuova generazione stanno emergendo per i computer, sono indispensabili per i cellulari e presto equipaggeranno in modo massiccio anche gli schermi televisivi. Quindi, browsers everywhere con tutto quello che ciò comporta. Prima tra tutte, l’estensione dell’esperienza del browser grazie alla disponibilità di applicazioni (marketplace) e servizi come i comandi vocali.

Web morto quindi? Due cose da tenere in mente. Le apps offrono agli sviluppatori una soluzione tecnologica più ricca, solida e completa rispetto a quanto realizzabile oggi in un browser. Per l’utente spesso si tratta di un modo più comodo, veloce e mirato per accedere alle informazioni alle quali è interessato in quel particolare istante. Penso all’applicazione di Starbucks che fornisce servizi specifici oltre a indicare su una mappa i propri punti vendita, dato questo present enel Web. Nel caso invece di un’applicazione che “memorizza” dove è stata parcheggiata la propria vettura si tratta di un servizio incrementale rispetto a quanto fattibile con il Web vissuto via browser da un laptop e, in quanto tale, di un servizio che potremmo definire incrementale (in questo caso capace anche di sfruttare i “sensi” di un dispositivo mobile). Secondo e non meno importante aspetto da considerare, un’app ha una propria logica e utilità nella disponibilità di dati e informazioni che risiedono nella maggior parte dei casi in pagine e/o servizi Web. Non un dettaglio. L’esempio di Starbucks va in quella direzione, ma altrettanto vale per il database di scarpe di Nike o quello dei vestiti di Gap esposti in due separate e mirate applicazioni. Gli stessi video – una delle voci principali di traffico su Internet – non sono altro che un mezzo di comunicazione differente rispetto a una pagina di testo – il contenuto originario del Web – ma pur sempre accessibili via Internet.

Se Web e browser sono in qualche modo strettamente correlati, è evidente come nel prossimo futuro la migrazione di quest’ultimo sugli schermi di grandi dimensioni – quegli oggetti che una volta si chiamavano televisori – non farà altro che aumentarne il consumo e l’utilizzo. Ma effettivamente poco importa come avvenga l’accesso alle informazioni e ai dati presenti su Internet. Molto più interessante e utile per tutti che il consumo aumenti in quantità e per tipologia di dispositivo, sia esso mobile o fisso.

Insomma, la solita provocazione editoriale, questa volta di medio-basso profilo, finalizzata a far vendere qualche copia in più del giornale, a suscitare un po’ di “scalpore” e utile per aggiungere un po’ di pepe nelle conversazioni e nei dibattiti di fine anno. Poca sostanza, ma materiale utile per sostenere la lucrosa attività di conferenze dell’editor in chief di Wired, la sua fonte personale di maggiori introiti visto che tutti i suoi speech pubblici hanno tutti una tariffa e una forte flessibilità nei contenuti una volta raggiunto un accordo sull’importo. Giusto per completare il quadro, utile leggere questo pezzo da The Guardian che evidenzia come spesso chi predica la purezza del modello free lo faccia a … pagamento. Vero Chris? Modesto.

Questo articolo ha un commento

  1. Giovanni Mari

    concordo, inoltre un’applicazione può soddisfare una necessità di una tipologia d’informazione che è stata possibile prevedere e sufficientemente rilevante/importante per giustificare il tempo necessario per strutturarsi di conseguenza. Nel caso di esigenze inattese e/o urgenti, un’app non potrà mai sostituire la rete supportata da un buon search engine 😉

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