Una delle verità oggettivamente misurabili oggi e in futuro riguarda l’impossibilità delle grandi Media Companies (Large ed XL) di rimanere tali anche in futuro. Tutto sembra indicare che l’ecosistema che ha portato alla creazione di conglomerati media non possa perdurare nell’era del digitale, soprattutto se l’asset portante è la carta. Ciò non significa né riduzione del consumo di contenuto, anzi, né la scomparsa del giornalismo inteso come produzione originale di notizie. Significa solo che lo scenario che sembra delinearsi favorisce realtà piccole o snelle, estremamente focalizzate, capaci di aggregare un audience a volte numericamente limitata, ma qualitativamente qualificata e di sostenersi mediante una corretta combinazione di revenue da pubblicità e da abbonamento (advertising + subscriptions), integrando il tutto da eventuali fonti associate ad attività di commercio elettronico. Riprendendo l’analogia con la taglia dei capi di abbigliamento, esistono già oggi molte XS (extra small) nella forma di bloggers individuali con un buon seguito di pubblico e capacità di monetizzazione sufficiente per considerarsi self-employed nell’area della produzione di commenti e contenuti. Per avere un’idea su chi si celi dietro la generica etichetta di blogger è utile dare un’occhiata qui. Esiste una forte componente amatoriale, ma anche chi riporta entrate consistenti grazie alla raccolta di pubblicità e attività collaterali come public speaking. L’aspetto da sottolineare – qualora non fosse sufficientemente chiaro – riguarda la capacità dell’ecosistema Internet di sostenere molte imprese individuali (o piccole) garantendo buoni redditi (nel report citato l’income medio supera i $57K annui) distribuiti però su una moltitudine di soggetti. La somma cumulata di questi importi potrebbe quasi sostenere i costi di una redazione nel tradizionale senso del termine, ma mancano le condizioni di fondo affinché ciò si verifichi. Tanti piccoli revenue stream separati, ma non – come farebbe comodo alle grandi organizzazioni medi a- una serie limitata di revenue streams indirizzati a pochi soggetti come è stato soprattutto in passato.
Nella dimensione S (small) ricadono invece iniziative media capaci di aggregare attorno a un progetto una dozzina di risorse e di spostare l’obiettivo di revenue su cifre di qualche milione di dollari. Come logico attendersi, il numero è inferiore rispetto alla popolazione di blogger di base, ma negli USA sta crescendo questo segmento partendo sia dal basso che dall’alto come conseguenza di un’azione di downsizing di una precedente realtà media. In questa categoria ricadono molte newsroom online nate in conseguenza della chiusura di giornali locali, fenomeno molto diffuso in molte città americane negli ultimi 18-24 mesi. Sono a conoscenza di un paio di progetti editoriali anche qui in Italia che ricalcano questo schema partendo da un nucleo di competenti giornalisti e, soprattutto, la volontà di innovare nello spazio delle news. Dita incrociate per loro sperando che queste iniziative abbiano successo. Ce ne sarebbe proprio bisogno non fosse altro per disporre di un approccio fresco all’informazione.
Realtà di dimensioni M (Medium) vanno ricercate in ex-L (Large) sottoposte loro malgrado a un’azione di ridimensionamento forzato o come risultato di progetti media innovativi.The Daily Beast, iniziativa finanziata da Barry Diller CEO di IAC, è un buon rappresentante di questa categoria. Il business plan originario prevedeva un investimento di $18M per i primi due anni con raccolta della pubblicità a partire dal secondo e per un ammontare previsto di $10M. Partito a fine 2008, questo progetto ha dovuto affrontare nel suo primo anno di vita la grave crisi economica del 2009, ma sembra proseguire con brio e determinazione. Realtà come Slate.com, Politico.com, Tmz.com e Salon.com sono altri rappresentanti di questa categoria, senza citare l’ormai onnipresente Hufftington Post. Quest’ultimo ha recentemente annunciato di aver superato i 40M di UU mensili, una cifra di tutto rispetto in termini assoluti e non solo per la categoria media. Il dato di 40M corrisponde alla misurazione interna con Google Analytics, mentre comScore stima il traffico di Huffpo su livelli inferiori come sempre e come logico. Probabilmente in Italia Dagospia si configura come un rappresentante di questo piccolo plotone di produttori di contenuti digitali emergenti.
Per la categoria L (Large) e XL (extra Large) ipotizzo solo la presenza di chi opera nell’ambito video o con prodotti che riescono ad associare l’autorevolezza del brand costruita in decenni di duro lavoro con una mentalità aperta alla produzione di contenuti concepiti per il digitale e distribuiti su più canali, compatibili con le nuove regole di consumo. Ci sarà ancora ampio spazio per le mega produzioni (il recente SuperBowl ha raccolto un’audience di 105 milioni di telespettatori lo scorso 7 febbraio nei soli USA) prevedendo anche un incremento della platea grazie alla maggiore facilità di acceso a contenuti una volta confinati a singoli paesi o regioni. Non è un caso che i format come X Factor, Millionaire e simili “scalino” perfettamente superando barriere linguistiche, sociali, culturali e altro raccogliendo ampie audience.
Il punto di fondo però rimane sempre lo stesso. I consumatori e anche gli investitori hanno deciso di spostare il proprio interesse, tempo e denaro verso altre forme di consumo e consultazione dei media, sfruttando le opportunità dell’online nell’ampliare le fonti informative, nelle modalità e luoghi di consumo e sempre più spesso facendo affidamento ai propri peers piuttosto che a delle fonti storicamente accreditate. Facebook il miglior esempio su tutti.
O le vecchie Media Companies si adeguano alle nuove regole o possono solo sperare di farcelo attraverso soluzioni non compatibili con le regole di un libero mercato. Le centinaia di milioni di euro di investimenti “evaporati” nel 2009 nel segmento della carta (quotidiani e periodici) non si sono certo riversati nel digitale, ma sono una conseguenza sia della crisi economica che del trend di disaffezione dei consumatori verso questo genere di prodotti.
So che può sembrare cinico e poco piacevole, ma Pan Am, la compagnia aerea che ha di fatto inventato l’aviazione moderna e i viaggi intercontinentali, non esiste più da quasi vent’anni. Eppure i viaggi non sono certo diminuiti. Nel settore musicale una volta a dominare erano le case discografiche proprietarie degli spartiti. Inutile dire come funzioni questo mercato oggi e le sue dimensioni. Niente più Pony Express, ma esplosione della comunicazione. Finita miseramente l’era dei transatlantici, ma il segmento delle crociere sta crescendo in misura esponenziale. E per molte aziende e/o industrie che non sono state capaci di adattarsi all’evoluzione dei tempi, ce ne sono molte altre invece che hanno fatto del cambiamento una loro ragione d’essere. E la storia insegna che nulla impedisce di partire S e arrivare anche a XL senza perdere qualità e il proprio DNA in questo processo. Nel settore della tecnologia in ambito digitale gli esempi sono numerosi.
Ciao Stefano,
questo mi sembra un post molto interessante e ci si potrebbe scrivere un libro e non solo…
Come sai mi trovo in un contesto dove la carta stampata genera la maggior parte dei ricavi e il business model è piuttosto consolidato, difficile da scardinare e con una miopia strategica causata da un management e una struttura ancorata ad “antichi valori”. Avendo relazioni decennali con la maggior parte dei più grandi editori a livello internazionale mi sono reso conto che uno dei problemi maggiori è quello di non rendersi conto che le informazioni sono diventate comodity e i grandi editori cercano di arrovellarsi per trovare argomentazioni valide ma ormai “scoppiate” del tipo (qualità, indipendeza ecc..) per vendere la pubblicità sperando che il mercato si riprenda.
Come sapiamo la stampa si vende sempre meno e ci sarà una forte riduzione sia di copie che di investimenti in un mercato che sicuramente si riprenderà ma con dinamiche totalmente differenti. Alcuni (molto pochi) nonostante le grandi dimensioni hanno impostato strategie che daranno sicuramente buoni frutti mentre altri sono inesorabilmente destinati a scomparire lascando spazio a nuove realtà concepite con nuove logiche e modelli innovativi.
Purtroppo nonostante alcuni vedano dove sta andando il mercato, non vanno a destinare le risorse in modo appropriato e continuano a provare inutili rilanci, nuove pubblicazioni, e simili, che ormai li rendono quasi ridicoli.
Oltre a questo vedo un futuro che va a concentrare-integrare più settori (Media-Tech-Telco-Banking) e le aziende che li interpreteranno nel giusto modo avranno enormi soddisfazioni .
EB
Aurelio, quello dei DN è un’altro bel libro…Accidere ex una scintilla incendia passim